Tra i “lasciati indietro” anche il testo di Disritmia (Zé Katimba) e tutta una serie di pensieri che ne erano derivati. Bene oggi si pubblica anche questo.
Ney Matogrosso e Pedro Luis e A Parede (dalla registrazione dell'album Vagabundo 2004)
Eu quero
me esconder debaixo
Voglio nascondermi sotto
Dessa sua saia
prá fugir do mundo
La tua gonna per fuggire il mondo
Pretendo
também me embrenhar
E voglio anche perdermi
No emaranhado
desses seus cabelos
Nel groviglio dei tuoi capelli
Preciso transfundir
seu sangue
serve una trasfusione del tuo sangue
Pro meu coração
Per il mio cuore
Que é tão vagabundo...
Così vagabondo
Me deixa
te trazer num dengo
Lascia che trascinandoti in un incantesimo
Prá num cafuné
Accarezzandoti la testa, come per farti addormentare,
Fazer os meus apelos...(2x)
Possa farti la mia dichiarazione
Eu quero
ser exorcizado
Voglio essere esorcizzato
Pela água benta
desse olhar infindo
Da quella acqua benedetta che è il tuo sguardo infiinito
Que bom
é ser fotografado
che bello restare impresso come in una foto
Mas pelas retinas
desses olhos lindos
Fissato sulla retina dei tuoi occhi meravigliosi
Me deixe hipnotizado
Lasciami ipnotizzato
Prá acabar de vez
Perchè possa finire
com essa disritmia...
questa aritmia
Vem logo
Vem curar
Fai presto, vieni a curare
seu nego
il tuo bambino
Que chegou de porre
Lá da boemia...(2x)
Che è arrivato da una bevuta
Nel tentativo di tradurre questo “per me esaltante” pezzo (è venuto com’è venuto, lo posto così) la necessità di dare un senso alla parola “cafunè”, tanto bella nel suono quanto misteriosa nel significato, mi ha costretto a girare un po’ per internet fino a trovare l’origina angolana della parola (per l’esattezza dalla lingua "quimbundo") che starebbe ad indicare quella particolare tipo di carezza dolce e continua che si fa, ad esempio, sulla testa di un bambino per farlo rilassare o addormentare. Meno romanticamente la carezza delle scimmie sulla testa dei loro piccoli a caccia di pidocchi: ma insomma anche questo è un gesto tenero. Sarchiapone è un altro esempio di parola inventata (e in questo caso un grande pezzo di Walter Chiari) come ricorda questo interessante post.
Tutto questo mi fece pensare (uso il passato, non a caso) alla possibilità di inaugurare un secondo blog dedicato alle cose (gesti, azioni) a cui il dizionario non fa ancora corrispondere una parola e per le quali sarebbe invece opportuno trovarne una. Niente di nuovo per carità: inventano parole nuove anche i bambini e credo che un famoso scrittore americano (?) abbia scritto sull’argomento un intero libro. Anche su questo degli appunti scritti a suo tempo e mai postati....
Parole senza parole....
Una caratteristica del mondo web è quella di avere una definizione per ogni cosa:
con un vocabolario così ricco, difficile dover ricorrere a circonlocuzioni.
Pensate al giro di parole che dovrei usare per spiegare quello che sto facendo, se non avessi a disposizione la parola blog.
Ci sono un sacco di situazioni che non trovano corrispondenza in un preciso vocabolo.
Possono essere cose, azioni, sensazioni con cui abbiamo a che fare ogni giorno, per esprimere le quali dobbiamo quindi ricorrere a lunghe e articolate perifrasi. Tra queste cose senza nome che incontro ogni giorno, la prima che mi viene in mente sono i “segni circolari lasciati dal cucchiaino sul fondo della tazzina del caffè”.
Le tazzine nuove non hanno questo problema, ma le tazzine con cui ho più confidenza, quelle a cui sono abituato da tempo e che mi danno più consolazione e soddisfazione sono tutte segnate.
Segni dal colore grigio viola come se, sotto la cottura della porcellana, si nascondesse un’anima ferrosa o come se l’estremità del cucchiaino avesse lasciato sul fondo un po’ della sua essenza. All’inizio questi segni sono ancora riconoscibili, ma dopo tanti anni l’effetto è quello di un’unica traccia, di un grande binario dove il cucchiaino segue un percorso ormai consueto in cui difficilmente potrà perdersi. Tornando alla domanda di partenza che nome potremmo dare a questi segni? I segni sono il risultato dell’esigenza di mescolare lo zucchero seguendo, nel mio caso di mancino, una direzione prevalentemente oraria. Sono i segni del risveglio ma non solo: del caffè per digerire dopo pranzo o dell’ultimo decaffeinato sotto le stelle. I segni si confondono a volte con gli ultimi granelli di zucchero non sciolti ed emergono più evidenti nel risciaquo prima del lavaggio. Segni, graffi, solchi, righe, tracce. In una parola....?
5 commenti:
sono dei giorni i miei che sono piuttosto triste, per tutta una serie di vicende affettive che non è il caso di tirar fuori qui.
per via dell'umore vago e malinconico ho rimesso su un cd che non ascoltavo da un po', "En la Fusa (Mar Del Plata)" di Vinicius De Moraes con Maria Bethania e Toquinho.
Arriva il caldo, qui a Milano, e l'estate si preannuncia gravida di serate come questa.
e poiché mi rendo conto che la versione di "apelo" in questo disco sia splendida, ecco, ti chiederei la traduzione di questo testo.
complimentandomi sempre per il tuo blog, ti auguro giorni felici.
mm1
http://mm1.tumblr.com
p.s. la versione è questa.
carissimo mm1, accolgo il tuo "appello" e al più presto posterò la traduzione, quando le condizioni di forma (sono reduce da un intervento chirurgico) mi consentiranno di stare qualche minuto di più di fronte al computer. Grazie e a presto.
che dire, grazie a te e buona guarigione.
mm1
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