Sarei voluto tornare dal concerto di Patrizia Laquidara, ieri sera, nell’insolita sede delle Fonderie di Montorso, e mettermi a scrivere con la musica ancora nelle orecchie. Invece le consuete carte e la necessità di scrivere-per-sopravvivere anche di domenica, mi porta lontano da quello che vorrei dire per dedicarmi a quello che dovrei-e-devo fare. Fine dello sfogo.
L’ho scritto in passato e lo ripeto adesso. Conosco pochissimo Patrizia Laquidara (da poco tornata da una tournée brasiliana) ed il suo repertorio
(che brutta espressione). Ho iniziato a colmare la lacuna con il live di ieri e
con l’acquisto dell’album Funambola dopo il concerto (peccato non fosse
disponibile anche Il Canto dell’Anguana ). Che dire. Ho fatto male a non farlo
prima.
Patrizia Laquidara ha una voce per cui si potrebbero sprecare gli aggettivi, per cui ne
scelgo uno solo “consapevole”. Una presenza misurata al servizio della musica
più che del personaggio (che ha, com’è evidente, la sua fascinosità). Una scelta musicale difficilmente classificabile e che
definire eclettica sarebbe limitativo (leggere le cose che ha fatto, fa girare un po' la testa): parlare di una somma tra jazz, etno, folk, bossa o mpb o
quel che volete non mi sembra corretto, perché quello che ho ascoltato ieri
sera non è stata certo un’operazione aritmetica. Ho ascoltato un’autrice
interprete che ci ha regalato anche qualche cover (tra cui il sonno mattutino
con tanto di sbadiglio, di chi passa la notte tra samba e amore, nel primo dei
bis) che non nasconde le sue ispirazioni, ma propone soprattutto una precisa
identità autorale e musicale. Con uno splendido trio dove allo strumento vocale
di Patrizia si sono uniti il basso di Davide Garrattoni e le chitarre di
Giancarlo Bianchetti. Vorrei raccontare di più, ma il tempo è scaduto: torno alle
sudate e tediose carte. Mi consolerò con il cd portato a casa e con la dedica
che Patrizia ha regalato ai lettori del blog.
Rose (dall’album Indirizzo Portoghese)
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